Il Monastero della Vettabbia

Nel giardino di via San Martino 5 a Milano si conservano una porzione di chiostro e una cappella ornata da un ciclo di affreschi. Costituiscono, con le arcate visibili nel cortile di via Cosimo del Fante 16, la testimonianza architettonica dell’illustre  monastero delle Dame Vergini della Vettabbia. Tutto il resto del monastero, sito all’esterno della porta Ticinese medievale, esteso su circa 2 milioni di mq è andato perduto.

 

 

Conservare la memoria

Agli inizi del Novecento infatti la vasta area dell’antico monastero, ormai fatiscente è al centro di un programma di trasformazioni edilizie. L’accordo tra il proprietario dell’area, conte Giovanni Visconti di Modrone e il Comune di Milano per aprire, tagliando il chiostro in due, la via Cosimo del Fante, tra corso Italia e via Calatafimi, non trova opposizione nella Soprintendenza ai Monumenti. L’unica soluzione per non cancellare completamente la memoria del luogo è quella, approvata dalla  Commissione provinciale per la conservazione dei Monumenti il 31 ottobre 1911, di far  realizzare a spese del proprietario disegni, rilievi e fotografie di quanto rimasto, ricostruendone altrove almeno una porzione.
Interviene a questo punto un cittadino milanese, Antonio Pellegrini Cislaghi, che si impegna a ricomporre nel giardino della sua dimora nei pressi di corso Italia una parte di chiostro e una delle cappelle dell’ortaglia, oltre a sponsorizzare il piccolo volume edito nel 1922, tuttora fondamentale.

Un ricco monastero femminile

Pur vantando una leggendaria origine ai tempi dell’assedio del Barbarossa (1161-1162) il Monastero della Vettabbia nasce intorno alla metà del XIII secolo. Le monache, appartenenti all’ordine agostiniano e dirette spiritualmente dai domenicani della vicina Sant’Eustorgio, sono da subito autorizzate da papa Innocenzo IV (1251) al possesso di beni immobili e all’autonoma elezione della priora. Il Convento diventa ricco piuttosto presto, attirando le fanciulle della buona società milanese e ricevendo protezione e lasciti da famiglie di rilievo, dai Visconti e dagli Sforza.
Grazie alla generosità dei suoi numerosi sostenitori il Monastero cresce in fasi successive, assumendo già alla fine del Quattrocento la forma che conosciamo dalle foto, dai rilievi, dalla porzione di chiostro salvata nel giardino.

Gli edifici

Esteso lungo il canale della Vettabbia, (canale coperto nel 1929 e trasformato in via Calatafimi), il complesso aveva dimensioni ragguardevoli, con una chiesa doppia destinata parte alla clausura e parte al pubblico culto, un vasto chiostro con lato di 42,50 metri, su cui prospettavano il refettorio e la sala capitolare.
I lati Nord e Est del chiostro presentavano eleganti colonne di serizzo con capitelli corinzi a basi unghiate, mentre era originariamente privo di portico il chiostro sul lato sud, quello del refettorio. Gli inserti decorativi come le ghiere degli archi, i tondi in cotto interposti, i timpanetti triangolari che sovrastano le finestrelle del primo piano, hanno fatto avvicinare il monastero al Lazzaretto, cui lavorò l’architetto Lazzaro Palazzi dal 1488.  Un elemento decorativo insolito a Milano è la fascia ininterrotta che separa nettamente portico e primo piano, motivo che si ritrova nella Ca’ Granda del Filarete. Nel 1497 il Monastero della Vettabbia passò alla direzione spirituale del Vicario Generale di Santa Maria delle Grazie.

Il rapporto privilegiato con papa Pio IV e l’arcivescovo Carlo Borromeo

Un documento del 1572 registra il progetto di rifacimento della facciata della chiesa su disegno di Pellegrino Tibaldi, architetto di fiducia di Carlo Borromeo, nipote di papa Pio IV. Tre sorelle del papa e una sorella dell’arcivescovo erano suore alla Vettabbia. Giovanangelo de Medici, divenuto nel 1559 papa Pio IV, era molto attento al benessere delle sue protette, tanto da consentire alle “signore in primo e secondo grado di consanguineità” delle monache di entrare nella clausura e di “stare con loro a loro talento”, purché non vi pernottassero. Garantisce al monastero una pensione annua di 300 scudi d’oro. L’arcivescovo è meno tenero, nell’ambito della sua riforma di costumi e usi tenta invano di far mettere le grate al parlatorio del convento. Se la sorella Corona si mostra obbediente e remissiva, l’arcivescovo trova un fronte compatto e nettamente contrario nelle tre reverende zie, suor Maura, suor Isabella e suor Anna. Nel suo testamento, stilato nel 1576 il Borromeo lascia al monastero della Vettabbia 50 scudi d’oro. Questo è l’unico convento cui lascia denaro in eredità. Una veste dell’arcivescovo, ritenuta miracolosa era venerata in monastero come una reliquia.

Gli ultimi secoli

  Nel Seicento la chiesa è ornata di molti dipinti, dispersi dopo la soppressione. Ci rimangono descrizioni entusiastiche sei e settecentesche che raccontano un “convento provveduto d’ogni comodità, con delizie di giardini e fabbriche moderne”, una bella chiesa, “assai capace di gente” e una sagrestia che “abbonda assai di ricchezze ecclesiastiche”. Nel Settecento il Lattuada descrive l’altar maggiore della chiesa nei giorni festivi come ricoperto d’argento. Pochi decenni più tardi, nel 1799, il monastero, destinato a ricoverare gli ufficiali della Repubblica Cisalpina è soppresso. Le monache sono costrette a un trasloco forzato. Seguiranno rovina, frammentazioni degli antichi spazi, poi la demolizione novecentesca.

Bibliografia

A.M. ParainoGuida de’ forestieri per Milano antica e modernaArchivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana, cod. 1514, autografo, 1716
S. Lattuada, Descrizione di Milano ornata con molti disegni in rame delle fabbriche più cospicue, che si trovano in questa metropoli, Milano, 1737-1738, voll. I-V.
Ignoto del secolo XVIII, Magnificenza di Milano, Chiesa e monastero di Santa Maria della Vecchiabbia, Monache Domenicane, già Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana, 1794.
A. Sala, Documenti circa la vita e le gesta di San Carlo Borromeo, Milano, 1861
A. Annoni, U. Nebbia, Il Convento delle Dame Vergini alla Vettabbia in Milano, Milano, 1922.
L. PatettaMonastero delle Dame Vergini alla Vettabbia, in L’architettura del Quattrocento a Milano, Milano, 2011, p. 142.
Luigi Pellegrini Cislaghi, Il monastero delle Dame Vergini al Vettabia. Un monumento di Milano salvato, Milano, 2017