Un salvataggio quasi fortuito

Da più di un secolo tre campate del chiostro rinascimentale del Monastero delle Dame Vergini alla Vettabbia e una delle cappelle dell’ortaglia sono stati salvati e ricomposti nel giardino di casa Pellegrini Cislaghi in via San Martino 5 a Milano. Questa inconsueta vicenda presenta interessanti retroscena.

Un sogno

All’origine dell’operazione, dettata dal desiderio di conservare una memoria dell’antica Milano, si pone una coppia di coniugi, Antonio e Maria Pellegrini Cislaghi. Secondo le note da lui lasciate anni dopo, la vicenda ebbe inizio nel 1913. Una mattina Maria, svegliandosi, rivelò di aver sognato “portici a colonne con terrecotte ed affreschi che si stavano demolendo”. La donna ignorava il luogo preciso ma, convinta che le demolizioni non fossero lontane dalla dimora di via San Martino, chiese al marito di indagare. Antonio Pellegrini Cislaghi, uscendo quello stesso mattino da San Celso, vide di fronte due case in demolizione. Introdottosi nel cantiere, oltre alcune ortaglie, scoprì “un antico chiostro a colonnati con terrecotte decorate che alcuni operai stavano demolendo”.

All’opera

Nei giorni successivi Pellegrini Cislaghi dedicò il suo tempo e la sua attenzione al luogo e salvò letteralmente dal piccone la cappelletta dell’ortaglia “meravigliosamente affrescata”, di cui era già stata distrutta una parete. Dovette imporsi sugli operai, facendo interrompere lo scempio, chiese con insistenza di parlare con l’assistente ai lavori, dichiarò il suo intento di salvare le memorie, ottenne infine un colloquio con l’ingegner Ravina, procuratore del conte Giovanni Visconti di Modrone, proprietario dell’area. Antonio Pellegrini Cislaghi si mise anche immediatamente in comunicazione con la Soprintendenza ai Monumenti di Lombardia, trattò con l’architetto Ambrogio Annoni per sostituirsi al proprietario Giovanni Visconti di Modrone, che si era obbligato, in base a precedenti accordi, a ricostruire almeno una parte del chiostro. Pellegrini Cislaghi volle a tutti i costi conservare anche il piccolo oratorio, non citato tra le parti da salvare negli accordi tra Visconti di Modrone e la Soprintendenza. Dopo un sopralluogo in via San Martino 5, nel giardino destinato ad accogliere le antiche memorie, la Soprintendenza, constatato che il giardino non era lontano da dove sorgeva originariamente il monastero, e che il proprietario dell’area incontrava difficoltà ad ottemperare agli obblighi previsti, autorizzò la complessa operazione e vennero stabiliti gli accordi.

15 maggio 1913, gli accordi tra la Soprintendenza e il ricostruttore

“Spetta al Pellegrini

  1. La riedificazione della cappelletta tuttora sorgente nell’orto dell’attiguo chiostro; e precisamente:
    • recupero e trasporto… di tutto quanto può servire allo scopo;
    • opere murarie e annesse, nuove e di ricomposizione;
    • opere complessive in relazione, anche d’indole pittorica e decorativa.
  2. La riedificazione di almeno tre campate di portico con il motivo del piano superiore rispondente alle celle;
  3. Il ricupero di quegli affreschi della cappelletta e dell’attiguo locale ora adibito ad uso di stalla, che saranno di comune accordo stabiliti, e nel modo migliore per il loro trasporto e conseguente conservazione;
  4. Tutto quanto riguarda recupero e trasporto entro i mesi di maggio e giugno”.

Le vicende di ricomposizione

Il lavoro di “smontaggio” e ricomposizione delle campate del chiostro e della cappella, iniziato nel 1913 incontrò numerose difficoltà, prima fra tutte le differenti opinioni su come scegliere di collocare, a che distanza tra loro, e in quale porzione del giardino, i due edifici, sorte tra il proprietario e l’architetto Annoni. Risolse la questione Maria Pellegrini Cislaghi, autrice di un piccolo progetto con la plastilina che venne subito approvato dall’architetto Diego Sant’Ambrogio della Soprintendenza. Iniziarono quindi i lavori, anche grazie alla perizia del “muratore Marangolo, che aveva lavorato in Italia in costruzioni del genere. Questi con rara competenza cooperò alla perfetta riproduzione della Cappelletta e delle tre arcate”, come si legge nelle note di Antonio Pellegrini Cislaghi.

Interrotte dalla Guerra, le operazione di salvataggio vennero successivamente riprese e portate a compimento.

Malauguratamente la cappelletta era già stata mutilata della parete sinistra, e quindi degli affreschi con Adamo ed Eva nel paradiso terrestre non si trovò neppure una foto, che pure era stata eseguita, come scrive accoratamente Antonio Pellegrini Cislaghi. Una fotografia consentì fortunatamente al professor Moroni della Pinacoteca di Brera di ricostruire a disegno la scena con decollazione di San Giovanni Battista. Il trittico d’altare con la Vergine, il Bambino, San Giovannino tra i Santi Domenico e Tommaso d’Aquino, e le due scene della parte di destra, con l’incontro tra Cristo risorto e Maddalena e un miracolo di una monaca, staccati e riposizionati nella cappella si possono ancora ammirare.

La monografia

Dopo la fine del conflitto, conclusi i lavori, la famiglia Pellegrini Cislaghi si impegnò anche a sponsorizzare, versando la somma di 10.000 lire, la pubblicazione sul Monastero delle Dame Vergini alla Vettabia. Tale pubblicazione faceva parte degli obblighi che la famiglia Visconti di Modrone aveva assunto con la Soprintendenza in data 31 ottobre 1911. Doveva essere “corredata da disegni e fotografie da ritrarsi prima della demolizione”. Prima della guerra il conte Visconti di Modrone aveva versato la stessa cifra di 10.000 lire, ma con i prezzi del dopoguerra la cifra si era rivelata del tutto insufficiente.

Un testo ancora fondamentale

La pubblicazione a cura di Ugo Nebbia e Ambrogio Annoni, edita nel 1922 da Bestetti e Tumminelli uscì purtroppo con solamente due immagini relative all’altra cappella dell’ortaglia, quella trasformata in stalla e andata malauguratamente perduta. Di questa non completa documentazione Antonio Pellegrini Cislaghi si doleva molto nelle sue memorie, sentendo di non essere riuscito a onorare, nonostante tutti gli sforzi compiuti, uno dei molti compiti che si era assunto, non per sua colpa ma per altrui interessi.